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Cosa penserebbe Freud di... Cenerentola?

  • Immagine del redattore: Anthea
    Anthea
  • 1 ago 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 1 gen 2021

Tutte siamo state un po’ Cenerentola almeno una volta, non fosse altro per l’ansia dell’orario di rientro a casa, che arrivava sempre troppo presto. So che l’avete invidiata per la storia del principe e della scarpetta, ma se può consolarvi sappiate che Cenerentola è affetta da disturbo di Personalità autofrustrante.


Disturbo di Personalità Autofrustrante


Il soggetto con Disturbo di Personalità Autofrustrante (una volta detto Disturbo Masochistico di Personalità) è caratterizzato dalla tendenza a scegliere e preferire situazioni frustranti e dolorose.


Nel pensiero comune il masochista è colui che “gode nel soffrire”. In realtà il masochista non prova piacere nella sofferenza ma, per il suo passato affettivo, è stato abituato o costretto a ricoprire il ruolo della persona sofferente e si è convinto che soffrire sia l’unico modo per essere accettato e meritare amore.


L’origine di questa patologia risale ai primi anni della persona cresciuta all'interno di un nucleo familiare in cui l’affetto convive con tanta pressione e un’eccessiva colpevolizzazione. Ogni tentativo di affermazione della personalità viene accompagnato da una punizione, alimentando il senso di frustrazione. Il controllo eccessivo imposto al bambino durante la crescita e il continuo blocco da parte dei genitori della propria libertà, lo costringono a reprimere i sentimenti di rabbia e gli impulsi aggressivi, creando una personalità servile e sottomessa per paura dell’abbandono.

Il motore di tutte le azioni di un soggetto con personalità autofrustrante è il senso di colpa. È come se fosse incapace di fare scelte sane, avvertendo con senso di colpa l’affermazione delle proprie necessità. Il paziente con questo tipo di personalità si relaziona con il mondo assumendo la posizione di vittima. Si vota al sacrificio, dimentica sé stesso e i propri bisogni vitali a favore di qualcosa o qualcun’altro.

Un piccolo appunto


Prima di contestualizzare il disturbo di personalità nella fiaba di Cenerentola, c’è da fare una premessa. La Cenerentola che andiamo ad analizzare è la protagonista del film di animazione della Disney (1950). Questo vale per tutte le fiabe della nostra rubrica “Cosa penserebbe Freud di…”, ma qui è ancora più importante sottolinearlo per le marcate differenze tra la versione disneyana e l’originale dei Grimm.


Cenerentola e l'attesa del principe azzurro


Cenerentola è la figlia di un uomo ricco che, dopo la perdita della moglie, si risposa con una vedova che ha due figlie sue coetanee. Il suo status dovrebbe essere uguale, se non superiore, a quello delle sorellastre. Ma sin dall'arrivo della nuova padrona di casa, e soprattutto dopo la morte del padre, viene relegata alla condizione di serva.


Quello che stupisce è la passiva accettazione di questo ruolo, dimostrando una personalità servile e sottomessa tipica del disturbo di personalità auto-frustrante. Cenerentola svolge il ruolo di servitù in una casa in cui dovrebbe essere la padrona, acconsentendo ad ogni capriccio della matrigna e delle sorellastre.


Cenerentola ha la forza di sopportare ogni genere di crudeltà ma non è capace di vincere da sola la propria ingiusta condizione. Come canta al risveglio al mattino lei si limita a sognare. Per elevate il suo status sono necessari l’intervento della fata madrina e il salvataggio del principe azzurro.

Cenerentola: I sogni son desideri di felicità
Nel sonno non hai pensieri
Li esprimi con sincerità
Se hai fede chissà che un giorno
La sorte non ti arriderà
Tu sogna e spera fermamente
Dimentica il presente
E il sogno realtà diverrà!

La massima ambizione di Cenerentola coincide con lo sposare il principe e candidarsi al ruolo di regina. La realizzazione della donna, fino a poco tempo fa, era diventare la moglie del potente. Anche per Cenerentola, come per le sue sorellastre, questo è l’obiettivo: arrivare all'altare, indipendentemente dalla condizione che seguirà, che sarà comunque di ubbidienza.


Questo atteggiamento passivo e rassegnato, come se il miglioramento della propria condizione non fosse qualcosa di ottenibile con le proprie forze, venne definito da Colette Dowling, nel 1982, Complesso di Cenerentola.

Complesso di Cenerentola


Con questo termine la Dowling si riferisce al desiderio di alcune donne di votarsi completamente a qualcuno che si prenda cura di loro e le protegga. Questa figura è spesso impersonata nelle fiabe dal principe azzurro che arriva a salvare la fanciulla di turno, elevandola allo status di principessa.


Secondo la psicoterapeuta, questo complesso manifesta la paura di raggiungere l’indipendenza.


Generalmente le donne con questo complesso hanno avuto un’educazione patriarcale, adottando atteggiamenti remissivi verso la figura maschile. Hanno bassa autostima e tendono a definire la propria identità solo in relazione al proprio partner, convincendosi che solo affidandosi completamente a lui possano essere felici.


Tutti sentiamo l’esigenza di poter contare su qualcuno e di sentirci protetti, ma non è sano far ruotare il proprio mondo intorno a quest’esigenza. In una relazione in cui uno dei due partner dipenda eccessivamente dall'altro, il rapporto risulta fossilizzato su ruoli rigidi che impediscono sia la crescita personale che di coppia.

In una relazione sana, bisogna rapportarsi alla pari ed entrambi devono avere dei propri obiettivi indipendenti anche se sempre interconnessi. Solo così si può crescere insieme e personalmente.


Alla prossima e buona lettura!


Ti sei perso gli altri articoli della rubrica? CLICCA QUI, in fondo alla pagina introduttiva trovi l'elenco di tutte le pazienti ;)


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